La formazione e la conoscenza esperienziale

La Cooperativa Sociale Sanitalia Service ritiene che il lavoro di cura debba essere supportato costantemente, all’interno di uno spazio di formazione, nel quale possano trovare terreno di elaborazione le diverse istanze emotive, intellettuali ed operative che sottendono al processo di ricerca-azione continua che caratterizza la pratica degli operatori all’interno dei servizi rivolti alla persona.

Per questo motivo, la Cooperativa Sociale Sanitalia Service mette a disposizione diversi tipi di supporto suddivisi per aree:

  • Momenti di confronto seminariali e interprofessionali, su problematiche dell’intervento socio assistenziale ed educativo.
  • Formazione specifica nell’ambito delle competenze della figura dell’O.S.S. del lavoro interdisciplinare: annualmente, alla luce dei bisogni emersi nell’equipe, vengono definiti i contenuti degli approfondimenti relativi alle tematiche maggiormente rilevanti.
  • Consegne congiunte interdisciplinari.
  • La programmazione annuale.

Tutto il personale, con particolare riferimento a quello che svolge attività che influenzano la qualità del servizio, sarà competente sulla base di un adeguato grado di istruzione, addestramento, abilità ed esperienza. L’adeguatezza è definita dalla Cooperativa Sociale Sanitalia Service attraverso l’emissione delle Schede Ruolo – Profilo, indicanti le necessità aziendali.

Il processo di definizione e di acquisizione delle competenze si sviluppa attraverso le seguenti fasi:

  • Identificazione del profilo ideale –  emissione delle schede ruolo – profilo.
  • Analisi ed individuazione dei bisogni formativi: confronto tra le necessità e le disponibilità.
  • Pianificazione della formazione: scelta degli interventi più opportuni.
  • Gestione degli interventi formativi: somministrazione della formazione.
  • Valutazione dell’efficacia della formazione: valutare l’acquisizione dell’abilità.
  • Registrazione ed archiviazione: dare evidenza degli interventi effettuati.

Il profilo ideale definisce a fronte delle attività previste per lo svolgimento di una specifica mansione (mansionario), le conseguenti necessità aziendali in termini di competenze del personale assegnato a quella mansione.

Necessità formative

Le necessità formative, in termini di corsi, addestramento o affiancamento, possono scaturire da situazioni diverse rilevate o dai ‘referenti’ del servizio o direttamente dal Coordinatore esterno di sede presente in Struttura: 

  1. assegnazione di mansioni relative ad attività attinenti la qualità del servizio, la gestione del sistema qualità o il raggiungimento degli obiettivi per la qualità;
  2. assunzione di nuovo personale;
  3. assegnazione di compiti specifici inerenti l’assistenza psico-fisica dell’Ospite;
  4. implementazione di nuove procedure e/o metodologie operative, oppure modifica di quelle esistenti;
  5. richiesta da parte del Referente interno del servizio nell’ambito di un programma di crescita professionale.

Nelle attività gestionali delle risorse umane sono previsti sia interventi formativi, cioè attività volte a fornire al personale conoscenze, competenze ed esperienze necessarie ad eseguire adeguatamente le attività assegnate, sia interventi informativi, cioè attività svolte per mettere a conoscenza il personale aziendale di avvenimenti o accadimenti importanti o comunque interessanti per l’azienda.

Sanitalia Service oltre ad avere al proprio interno tecnici del settore quali docenti per gli specifici servizi, lavora in partnership con una Agenzia formativa in partnership.

Gli incontri con il personale oltre a trattare problematiche specifiche hanno lo scopo di:

  • ampliare la discussione dei problemi inerenti il servizio oggetto di appalto;
  • fornire informazioni agli Operatori e ricevere segnalazioni e suggerimenti dagli stessi;
  • presentare e discutere gli obiettivi per la qualità al fine di rendere tutti consapevoli della importanza della propria attività nel conseguimento degli obiettivi stessi;
  • fornire informazioni circa l’efficacia del sistema di gestione per la qualità.

Al termine di ogni intervento formativo o informativo, viene compilato un verbale di intervento e successivamente viene svolta una valutazione del grado di apprendimento del personale formato e/o addestrato, cioè sulla abilità conseguita.

Dopo ogni intervento formativo, interno o esterno, viene aggiornata la scheda personale di ogni partecipante all’intervento. Il Responsabile delle Risorse Umane archivia tutta la documentazione relativa all’intervento effettuato, compresa la scheda di valutazione dell’efficacia nel caso degli interventi formativi, allegando alle schede personali gli eventuali attestati o certificati rilasciati. Tutte le attività sopra indicate sono dettagliate nella procedura del Sistema qualità “Gestione Risorse Umane”.

Il rapporto tra educatori e famiglia con figli in situazione di disabilità

C’è la bellezza e ci sono gli oppressi.
Per quanto difficile possa essere,
io vorrei essere fedele ad entrambi.
Albert Camus

 

Nella vita di ogni essere umano è quasi scontato avere dei progetti, dei sogni, degli obiettivi da raggiungere. Sin dall’infanzia i genitori ripongono nei figli un investimento affettivo che porta con sé desideri ed aspettative per la loro crescita, fino a renderli autonomi.
La nascita di un figlio disabile porta invece con sé scompiglio, paura, angoscia; è difficile sognare un futuro per dei figli che non hanno capacità come tutti, che faranno fatica ad essere autonomi.

Il problema del “diverso” è stato affrontato da un grande numero di specialisti: ciascuno nel quadro della propria disciplina ne ha studiato un aspetto particolare. Medici, psicologi, pedagogisti, si sono preoccupati di affrontare da un punto di vista tecnico il problema della diagnosi, della cura, della riabilitazione, della progettazione. Gruppi politici hanno affrontato il problema dei disabili e della loro emarginazione, hanno fatto ipotesi e progetti di inserimento, hanno fatto proposte legislative. I libri sull’argomento sono molti ma ancora oggi il vissuto ed il dramma delle famiglie viene tralasciato, a volte dimenticato.

Il problema della disabilità di un bambino alla sua nascita è il momento più importante della vita dei genitori anche quando non è il solo e unico problema. Alcuni, e in tutti i casi sempre la madre, hanno rinunciato al lavoro per dedicarsi interamente al bambino. Scelta obbligata fra casa e lavoro perché sostenere due ruoli è materialmente impossibile.
Qualcuno invece si è chiuso nel proprio dolore ed è diventato incapace ed insufficiente come il proprio bambino.
Il lavoro dell’educatore è difficile: entrare in relazione con famiglie che portano problematiche profonde richiede un ascolto empatico non indifferente; mettersi nei panni dei genitori, di chi si relaziona con un ragazzo disabile al di fuori del tempo occupato in un Centro diurno, rende l’educatore maggiormente consapevole della stanchezza e delle possibili dinamiche cristallizzate che si vengono a creare all’interno del nucleo familiare.

Riconoscere la sofferenza, la fatica, il disagio nel vivere costantemente nell’incertezza per il futuro dei propri figli diventa per l’educatore, il primo passo per entrare in relazione con le famiglie, anche quelle che possono sembrare totalmente isolate.
L’educatore, attraverso l’osservazione e la conoscenza sempre più approfondita della presa in carico, si occupa di formulare, in collaborazione con la famiglia, un progetto educativo individuale che prevede la strutturazione di attività ed occasioni in contesti di vita normale con lo scopo di favorire una condizione di benessere per il disabile.
Entrare in relazione con ambienti “normali” non è semplice: la patologia e la disabilità, nonostante un grosso cambiamento di prospettiva degli ultimi venti anni circa, comunque all’inizio può generare vissuti di vergogna e disagio. L’educatore entra in campo come mediatore della relazione per permettere il crearsi di rapporti significativi, per promuovere la cultura della disabilità come qualcosa di diverso ma altrettanto ricco.

Le esperienze di integrazione con il supporto della figura educativa aumentano la condizione di benessere del soggetto disabile che riporta i propri vissuti all’interno del nucleo familiare, modificando quelle dinamiche che sembravano cronicizzate.
Le visite domiciliari aiutano la famiglia a cambiare opinione circa le capacità e le potenzialità del figlio.
La famiglia è un anello fondamentale per la crescita di qualunque individuo soprattutto se questo individuo non è in grado di essere autonomo: è ingiusto descrivere i genitori dei ragazzi disabili solo come persone tristi ed arrabbiate. In realtà, dentro molti di questi genitori c’è anche la conquista di una lettura del mondo e di ciò che vi accade secondo un ordine valoriale non banale, non scontato, di profondità indiscussa.
Spesso la speranza dei genitori, il loro diritto a poter sperare, viene letto dai servizi come illusione, “fuga dalla realtà”, non consapevolezza della gravità della situazione, quando invece la verità è che i genitori si permettono di sognare.
Altre volte sono i genitori a vedere i figli quali realmente essi sono, mentre gli educatori sono lontani dal percepire le potenzialità del ragazzo.
Si tratta di una situazione difficile, perché i genitori vengono letti dai tecnici come coloro che non hanno un’immagine realistica del figlio.
Quello che si percepisce stando accanto ai genitori è che il gioco è condotto dai diversi tecnici che si susseguono. Ciascuno di loro pensa di aver in mano una verità da insegnare ai genitori, mentre i genitori, gli unici che hanno in mano l’interezza della vita del proprio figlio, non sono autori, neppure co-autori del suo progetto di vita.

Per potersi rapportare con i servizi ed essere accolti, ascoltati e presi in considerazione, i genitori devono essere perfetti e molto più professionali di quanto non venga richiesti agli educatori o ai tecnici. Devono essere genitori sempre equilibrati, che non si facciano trascinare in false visioni dalle emozioni, che siano pronti a modificare il proprio punto di vista ascoltando. Altre volte ancora, i genitori fanno fatica a vedere e a cogliere circoli viziosi che un educatore o un tecnico, da fuori può vedere con maggior facilità.
Allora qui l’attenzione che deve scattare è di non etichettare il genitore, di non vederlo quale utente aggiunto, perché questa logica in realtà blocca ogni possibile principio di cambiamento. Le famiglie hanno bisogno di non sentirsi sole, giudicate, e con la vita programmata da altri. Ricercano una guida che dia loro sicurezza per poter operare scelte consapevoli.

L’educatore allora deve sforzarsi di guardare oltre le parole a volte dure dei genitori, oltre la loro apparente assenza, oltre il loro silenzio. Deve comprendere che alle spalle di ogni soggetto disabile vive una famiglia con una storia, con le sue difficoltà e le sue paure, con il bisogno di essere accolta e di non essere giudicata e per questo si deve sforzare di aiutarla ad essere quanto più possibile partecipe della crescita e delle esperienze dei figli. Il contesto familiare e il rapporto con parenti e amici hanno grande rilievo per l’integrazione di coloro che hanno bisogno non solo di aiuti concreti ma anche di sostegno psicologico e di rapporti interpersonali soddisfacenti. La famiglia ha un ruolo fondamentale.

Il “permesso di crescere” di una persona in giovane età, pur con delle controversie, arriva dalla sua famiglia, se la persona è diversabile la necessità dell’approvazione dei propri familiari diventa indispensabile.
Il lavoro con la famiglia diventa elemento cardine della professionalità dell’operatore, è indispensabile costruire “un’alleanza”. L’alleanza è un obiettivo prioritario che coinvolge quindi il diversabile, la sua famiglia e il servizio. La collaborazione con la famiglia per un progetto di vita è un’ operazione psicologica molto delicata che deve vedere l’operatore soprattutto disposto “all’ascolto”. Alleanza vuol dire in primo luogo immedesimarsi, capire davvero il punto di vista dei familiari.
Gli operatori devono aiutare le famiglie a favorire, nei confronti del figlio, i processi di separazione-individuazione, essenziali per il raggiungimento di un assetto identitario sufficientemente stabile e soprattutto adulto.
Un servizio dovrebbe mettersi in una situazione di “scambio” delle informazioni. L’operatore deve imparare a riconoscere le emozioni e le percezioni che sente nei confronti delle persone diversabili e delle famiglie per poter avere delle informazioni utili ed individuare i sentimenti della famiglia nei suoi confronti e del servizio. Il servizio dovrebbe porsi positivamente con le famiglie in modo che esse possano mostrare le proprie competenze, creare un’atmosfera positiva di complicità e di riconoscimento reciproco di risorse.
L’alleanza è come un legame nato da affinità di scopi tenuto saldo da stima e considerazione reciproca che si costruisce giorno dopo giorno e si fonda sulla fiducia.